martedì 3 luglio 2012

vizi della casta

L'amico di D'Alema a escort con la scorta


Giovanni Di Cagno, uomo forte del Pd in Puglia e vicino a Massimo, partecipava a incontri hard accompagnato dai carabinieri


Il vizietto degli uomini del Pd di andare ad escort, facendosi accompagnare dalla scorta, si è ripetuto anche in Puglia. I fatti emergono da un’informativa del Gico della Guardia di Finanza, citata ieri sul Fatto quotidiano, nei riguardi dell’avvocato barese Giovanni Di Cagno.

Di Cagno, per gli amici “Gianni”, è come si dice al sud, “uomo di mondo”. Il principe del foro, balzato agli onori delle cronache nel 2009 quando - a seguito della maxi inchiesta “Domino” e poi “Domino 2”- quando venne indagato e poi scagionato per riciclaggio, è in Puglia figura di spicco del centrosinistra. Di lui si dice che sia uomo di fiducia di Massimo D’Alema, con il quale ha collaborato alla creazione della Fondazione “Italiani-europei”, e di Onofrio Sisto, esponente del Partito Democratico ed ex vicepresidente della Provincia di Bari.

ALTA SOCIETA'

Membro del circolo del Tennis di Bari, ex componente laico di centrosinistra del Consiglio superiore della magistratura, è avvocato di Michele Labellarte, presunto cassiere, morto nel 2009, del clan Parisi, una delle cosche più potenti del capoluogo pugliese. Proprio Labellarte, di cui meglio parleremo dopo, avrebbe contribuito ai divertissement dell’avvocato. Per gli incontri tra Di Cagno e le belle donne, organizzati e talvolta anche pagati dal Labellarte, venivano sborsati dai 400 agli 800 euro, a prestazione. I rendevouz avvenivano a Roma o Montecatini. Ed è proprio nella località termale che avviene l’incontro più curioso. Labellarte è in ansia, l’appartamento prenotato per Di Cagno e la gentil dama è occupato da amici di un boss. Cosa fare? Dopo l’iniziale panico si attiva affinché l’alcova venga liberata subito. Ma il problema però, come si legge negli atti dell’inchiesta “Domino”, depositati nei giorni scorsi, è un altro. «L’avvocato Di Cagno si sarebbe recato nell’appartamento accompagnato dall’ auto di scorta dei carabinieri». Di Cagno, infatti, gode della scorta in quanto membro della Commissione di garanzia per il diritto di sciopero. Ruolo per il quale, secondo il suo avvocato, era potenziale obiettivo dei terroristi. Sappiate che, alla fine, è andato tutto bene. L’incontro amoroso è volto per il meglio. E Di Cagno soddisfatto se n’è andato con la sua scorta.

Al di là delle scappatelle di Di Cagno c’è un altro filone che emerge tra le carte di Domino. Il presunto legame tra Labellarte e Nicola Latorre, vicepresidente del gruppo Pd al Senato. Nelle informative redatte dalla polizia tributaria di Bari, allegate all’avviso di conclusione delle indagini notificato ai 17 indagati il 14 maggio scorso, si legge questo virgolettato dell’imprenditore dedito al riciclaggio: «Vedrai, quello che sto spendendo mi ritornerà con tutti gli interessi». Siamo nel 2005 e Labellarte, finito agli arresti domiciliari per bancarotta, decide di “investire” nella politica e offrire, sua sponte, il proprio sostegno a Latorre, che si presenta nel collegio senatoriale di Bari-Bitonto. Così il boss defunto punta tutto sul senatore braccio destro di D’Alema ed organizza un comitato elettorale nel centro di Valenzano, comune alle porte di Bari. «Non è dato sapere se l’attività elettorale “sponsorizzata” da Labellarte nel 2005 a favore di Latorre», si legge nei faldoni della Guardia di Finanza, «fosse stata una propria iniziativa o una attività “sollecitata” dai due professionisti», guarda caso proprio di avvocati Onofrio Sisto e Gianni Di Cagno . «Gli stessi», si legge, «parteciparono ad alcune manifestazioni elettorali e cene organizzate e pagate dall’amico Labellarte in sostegno di Latorre che apparteneva allo stesso schieramento politico dei due avvocati». A sostegno dello spirito mecenatistico nei confronti della politica di Labellarte c’è anche la testimonianza del comandante della stazione dei carabinieri di Valenzano Canio Mancusi che dice: «Labellarte aveva appena finito gli arresti domiciliari per una bancarotta, aveva lui a sue spese allestito un comitato elettorale, aveva preso in fitto un ufficio di fronte alle poste».

LA DIFESA DI LATORRE

Ieri intanto il senatore Latorre, intervenuto alla trasmissione de La 7 “Coffee break”, ha immediatamente allontanato le accuse. «Si è svolta in Puglia un’importante indagine sul riciclaggio di denaro sporco che si è conclusa nei giorni scorsi con il deposito degli atti, dai quali si evince che alcune persone hanno sostenuto senza alcun fondamento che Labellarte avrebbe finanziato la mia campagna elettorale del 2005», ha detto il senatore del Pd. Poi ha annunciato di aver dato mandati ai legali per intraprendere azioni a tutela della sua onorabilità dopo che alcuni quotidiani hanno accostato il suo nome a quello di Michele Labellarte. Per Latorre le circostanze di cui si parla negli atti depositati sono ritenuti privi di fondamento «anche da magistrati noti per il rigore con cui agiscono. Non ho mai avuto a che a fare con simili cose», ha chiarito, «e dunque può comprendere l’amarezza di chi come me ha ritenuto da sempre la lotta contro ogni forma di criminalità una ragione fondamentale del suo impegno pubblico».